Il pane di Maiolo, realizzato con farine locali e secondo metodi antichi, è parte integrante non solo della tavola ma anche dell’identità culturale del paese. Un prodotto che ha saputo resistere al tempo e alla standardizzazione industriale, preservando gesti, saperi e ritmi della panificazione tradizionale.
Ingredienti essenziali
La ricetta si basa su pochi elementi, semplici e genuini:
- acqua
- farina
- pasta madre, ottenuta da un pezzo dell’impasto precedente lasciato fermentare per tutta la notte. A lievitazione naturale che racconta un metodo parsimonioso, ma anche un profondo rapporto con l’arte del pane, fatto di esperienza e piccoli “trucchi” del mestiere.
Il gentilrosso
Il pane di Maiolo è prodotto esclusivamente con farina di gentilrosso, una varietà locale di grano tenero antico, documentata già dalla prima metà del Novecento e ampiamente diffusa nell’Italia centrale. Le sue principali caratteristiche sono:
- spiga dal colore giallo-rossastro,
- notevole altezza, che può raggiungere circa 1,65 metri,
- elevata resistenza alle malattie, in particolare alla ruggine,
- rusticità e grande capacità di adattamento.
Il gentilrosso viene coltivato da un’azienda agricola del territorio, che si occupa anche dello stoccaggio del grano. La macinazione avviene poi in un mulino a pietra locale, preservando le qualità della farina, protagonista anche della tradizionale Festa del Pane.
Il procedimento
Prima della panificazione vera e propria, si svolge una fase preliminare fondamentale: la pasta madre viene lavorata con farina e un po’ di acqua tiepida fino a completa riattivazione della lievitazione.
Si passa poi all’impasto, spianando la farina e creando al centro un incavo per accogliere la pasta madre. Una volta amalgamato, l’impasto viene diviso in filoni di circa un chilogrammo ciascuno e lasciato lievitare.
I filoni vengono quindi avvolti in teli — tradizionalmente tessuti a mano al telaio — e coperti con lana, per poi riposare per un tempo variabile: dai 90 minuti nei mesi estivi fino alle tre ore in inverno.
Nel frattempo si accende il forno, solitamente alimentato con fasci di ginestra e tralci di vite. Trascorsa circa un’ora, quando il pane ha completato la fermentazione, si procede con l’infornata, non prima di aver praticato una piccola incisione a croce su ogni filone: un gesto simbolico ma anche funzionale alla cottura.
La temperatura del forno viene verificata secondo un’antica usanza: un bastone di legno viene strofinato sui lati della bocca del forno; se produce scintille, il calore è quello giusto.
Durante la cottura, il pane viene controllato regolarmente: dopo circa 40 minuti viene spostato, per poi essere sfornato dopo circa 70 minuti complessivi. Un accorgimento tradizionale prevede l’aggiunta di un piccolo ciuffo d’erba nel forno, utile a smorzare un eventuale eccesso di calore.
Una volta estratti, i filoni vengono lasciati riposare in piedi, appoggiati su un lato, così da favorirne l’asciugatura finale.
